Identità di Genere e Orientamento Sessuale: facciamo chiarezza

Possiamo definire l’identità come l’insieme di tutte le nostre esperienze, di come ci riconosciamo e relazioniamo con il mondo e con gli altri. Ciascuno di noi può dire di sé, ad esempio: “sono un bambino, sono un genitore, sono un impiegato, sono fantasioso etc..”. La nostra identità è costituita da molti aspetti e qualcuno di questi è stabile nel tempo (ad esempio, sono fantasioso), qualcuno è soggetto a cambiamenti (sono giovane o vecchio), altri ancora variano in funzione del contesto (sono espansivo con la famiglia, ma riservato con gli estranei). L’identità sessuale è un aspetto della nostra identità generale e possiamo definirla come un costrutto biopsicosociale che nasce dall’interazione di 4 dimensioni, tra loro indipendenti:

  • il sesso biologico
  • identità di genere
  • l’espressione di genere
  • orientamento sessuale
 

Cos’è il sesso biologico?

E’ costituito dall’interazione tra fattori genetici, ormonali, morfologici, biochimici ed anatomici, che influenzano la fisiologia corporea. Il sesso biologico si suddivide in 3 componenti: sesso cromosomico, sesso gonadico e sesso fenotipico (o anatomico). Solitamente viene assegnato alla nascita, a seguito dell’esame visivo dei genitali esterni. Esistono soggetti però che nascono con aspetti biologici caratteristici di entrambi i sessi e sono definite intersessuali (1,7% della popolazione). La genetica ci mostra come la presenza di cromosomi XY o XX indurrà lo sviluppo di gonadi maschili o femminili; a loro volta le gonadi con la produzione di specifici ormoni porteranno alla differenziazione dei genitali esterni e interni in maschili o femminili. Le persone definite come intersessuali possono invece avere organi riproduttivi sia maschili che femminili o genitali esterni ambigui. 

 

Cos’è l’identità di genere?

 

Per identità di genere si intende la continuità, il senso di unità e di persistenza della propria individualità come maschile, femminile o ambivalente (Money, 1995). Chiaramente la costruzione dell’identità di genere è mediata da fattori biologici, psicologici e socio-culturali. Secondo la teoria dello sviluppo cognitivo di Kolbergh (1966) i bambini entro il terzo anno di vita strutturano la propria identità di genere (gender labelling), in seguito interiorizzano che essa rimane stabile nel tempo e che non è legata al modo di comportarsi o a caratteristiche esteriori, quali ad esempio l’abbigliamento. Alcuni bambini possono assumere comportamenti o atteggiamenti non conformi alle aspettative di genere stabilite dalla cultura collettiva di appartenenza (ad esempio maschietti che vogliono giocare con le bambole o femmine che giocano con le mostri e robot). Talvolta i genitori si allarmano e cercano di reprimere queste espressioni gender non conforming. In realtà si tratta di sperimentazioni assolutamente normali, non indicative di alcun orientamento sessuale rispetto al quale il genitore potrebbe avere dei pregiudizi e, anzi, si potrebbe fare una riflessione in merito alla mancata flessibilità delle aspettative di genere collettive. 

Per la maggior parte delle persone l’identità di genere è congruente al sesso biologico assegnato alla nascita: la persona che alla nascita anatomicamente mostra genitali maschili si percepisce come maschio, mentre la persona che alla nascita anatomicamente mostra genitali femminili si percepisce come femmina. L’individuo che sperimenta questa congruenza viene chiamato cisgender o ci-sessuale; tutti gli altri rientrano nella categoria ombrello transgender. Dobbiamo immaginarci l’identità di genere come uno spettro continuo, che ai due poli opposti ha il genere maschile e il genere femminile, all’interno di questi abbiamo una flessibilità di autodefinizione non dicotomica. Esistono soggetti la cui identità di genere oscilla nel tempo (genderfluid o genderqueer); oltre a questi abbiamo gli a-gender che non si identificano in nessun genere e i pan-gender, che al contrario si riconoscono in ogni genere. 

Bisogna ricordare che non tutte le persone che sperimentano incongruenza tra il sesso biologico e il genere in cui si riconoscono sperimentano disagio e vogliono modificare il proprio corpo, quando invece è presente sofferenza rispetto a questo parliamo allora di disforia di genere. La disforia di genere è uno stato di sofferenza cognitiva, affettiva e relazionale per cui una persona può chiedere un aiuto specialistico, perché provoca una compromissione del proprio funzionamento quotidiano. Le opzioni di intervento terapeutico mirano ad alleviare il vissuto di malessere e stress e possono includere psicoterapia per gli stati d’ansia e depressivi, terapia ormonale di affermazione di genere o chirurgia.

 

L’espressione di genere

 

Con la terminologia espressione di genere si intende il modo in cui una persona mostra, esprime e comunica la propria identità di genere. Mentre il costrutto identità di genere è qualcosa che la persona esperisce nel suo mondo interno, l’espressione di genere è un processo sociale, che ha origine dall’apprendimento e dal fare propri una serie di messaggi, credenze, atteggiamenti provenienti in primo luogo dalla cerchia primaria della nostra famiglia e poi da tutti quei gruppi di cui entriamo a far parte con la crescita (scuola, amici, società allargata) e dai media.

Molto spesso quando una persona mostra dei comportamenti di espressione di genere conformi ai canoni del gruppo di appartenenza riceve dei rinforzi positivi, altrimenti può essere scoraggiato o addirittura osteggiato o represso e viene etichettato come gender bender o gender non conformer. In questo gruppo possiamo far rientrare le drag queen e i drag king, i quali però mescolano le esigenze personali di espressione con le leggi dello spettacolo, e i cross-dresser, ovvero persone che nella vita privata si sentono molto più a proprio agio a indossare abbigliamento più tipico del genere opposto al proprio sesso biologico. Solo qualora la persona lamenti un disagio clinicamente significativo e continuativo per almeno 6 mesi e una compromissione del proprio funzionamento in ambito relazionale e lavorativo, si può parlare di una condizione patologica che il DSM-V denomina Disturbo da Travestitismo. 

 

L’orientamento sessuale

 

Ultima componente dell’identità sessuale è l’orientamento sessuale, che comprende tutti quei fattori emotivi, relazionali e sessuali che guidano l’interesse del soggetto nei confronti dell’altro. Come per il genere, l’American Psychological Association (APA) e altre organizzazioni internazionali, affermano che l’orientamento sessuale è da intendersi come un costrutto multidimensionale che si sviluppa in un continuum tra poli opposti. Qualora un individuo provi attrazione per qualcuno del sesso biologico opposto è chiamato eterosessuale; qualora sperimenti interesse per individui del proprio sesso biologico è chiamato omosessuale; per entrambi i sessi è detto bisessuale e se per nessuno dei sessi è chiamato asessuale. 

Le dimensioni racchiuse nell’orientamento sessuale sono:

  • attrazione sessuale, ovvero con chi provo il desiderio di fare sesso
  • attrazione romantica, ovvero di chi mi innamoro o con cui ho una relazione
  • comportamento sessuale, con chi faccio sesso nella realtà
  • fantasie sessuali, ovvero con chi fantastico di attuare comportamenti sessuali
  • percezione di sé, il gruppo con cui mi identifico, a cui sento di appartenere 
 

Ognuna di queste dimensioni potrebbe essere slegata dall’altra: potrei essere una persona che ha un’attrazione sessuale per gli uomini, ma che romanticamente si sente attratta da entrambi i sessi e nella realtà non ha rapporti sessuali con nessuno e che si percepisce come bisessuale (Graglia, 2019).

L’orientamento sessuale, inoltre, può mutare nel tempo: la letteratura scientifica ci dice che l’età della prima attrazione sessuale è attorno ai 10 anni, durante l’adolescenza abbiamo una fase di esplorazione del proprio orientamento e proprio come tappa di questa esplorazione persone eterosessuali possono fare esperienze omosessuali e viceversa. Purtroppo accade spesso che la società, i media e gli ambienti relazionali a cui apparteniamo mandino messaggi e pressioni etero-normativi e quei soggetti che non si riconoscono in tale orientamento possano sperimentare vissuti di sofferenza, di stress e talvolta sono stigmatizzati o vittimizzati. Questo fenomeno conosciuto come Minority Stress (Meyer, 2003) può compromettere la salute psicofisica e anche la crescita della persona.  Mentre la maggioranza della popolazione vive il proprio orientamento sessuale come una componente della propria identità che rimane invariata nel tempo, altre la percepiscono in maniera più fluida. Questo non vuol dire che possiamo modificare il sesso verso cui siamo attratti per adeguarci a richieste esterne, per compiacere i genitori o il partner, ma solo quando se ne avverte una spinta spontanea dal nostro mondo interno. 

Un effetto del minority stress è il vissuto di omonegatività interiorizzata: talvolta il soggetto adotta in maniera automatica e inconsapevole dei significati negativi rispetto al proprio orientamento sessuale e vive uno stato di malessere rispetto ad esso.

Quando e perché iniziare una psicoterapia?

Qualora una persona abbia dei dubbi rispetto al proprio orientamento, qualora fatichi semplicemente a viversi la propria sessualità o abbia problemi nella propria relazione di coppia può rivolgersi a uno psicoterapeuta, che strutturerà un percorso di sostegno, esplorazione e validazione del mondo interno della persona e lo guiderà nell’affermazione del proprio sé

Bibliografia & Sitografia

Bernorio R., Mori G., Casnici F., Polloni G., L’approccio diagnostico in sessuologia, FrancoAngeli, 2020

Dettore D., Trattato di psicologia e psicopatologia del comportamento sessuale, Giunti, 2018

Graglia M., Le differenze di sesso, genere e orientamento, Carocci Faber, 2019

https://www.intersexesiste.com/terminologia/

https://www.agedonazionale.org/

https://www.opl.it/public/files/18875-OPL_Dossier_No-Binary_COL.pdf